In America uno degli sport nazionali è stabilire chi sia il più grande in uno sport, the G.O.A.T. acronimo che sta per Greatest Of All Times.
Togliendo la punteggiatura avremmo goat (capra) parola sulla quale spesso si scherza volendo denigrare il soggetto del discorso ma che, generalmente, viene intesa con l’accezione di cui sopra.
In ogni sport ci si divide su chi sia veramente il più grande e, spessissimo, non si raggiunge un verdetto che riesca a mettere tutti d’accordo.
Tom Brady e i 7 trionfi
Nel Football Americano ad esempio, Tom Brady si è preso la leadership assoluta vincendo ben 7 anelli (l’ultimo a febbraio scorso alla sua prima stagione ai Tampa Bay Bucaneers) diventando oggettivamente il più grande di sempre in questo sport almeno per risultati ottenuti sul campo ma, ancora oggi, si dibatte se per talento e tecnica fossero superiori Payton Manning o Joe Montana.
Se quindi neanche davanti a 7 trionfi al Superbowl si è raggiunta l’unanimità di giudizio figuriamoci nel Basket USA che ha visto, nei decenni, alternarsi sul gradino più alto del podio autentici mostri sacri dello sport a stelle e strisce.
Da Wilt Chamberlain ad oggi sono stati molti a “contendersi” la nomea del più forte di tutti i tempi e infatti l’etichetta di “the goat” è passata da un giocatore all’altro fino all’arrivo di His Airness Michael Jordan.
His Airness, nothing but…GOAT
Il fuoriclasse dei Bulls, vera icona americana, ha dominato la scena per oltre un decennio togliendo le luci dei riflettori a nomi come Magic Johnson, Larry Bird & co.
In un basket molto competitivo e duro dal punto di vista fisico, dove i giocatori avevano una libertà anche eccessiva (soprattutto se comparata a ciò che avviene oggi) nell’attuazione delle proprie abilità difensive, dopo aver stentato non poco contro i “bad boys” di Detroit, Michael Jordan ha mostrato al mondo intero di essere indubitabilmente il migliore.
Talento assoluto, atletismo mostruoso, 1.98 su una struttura in grado di volare, voglia di vincere, abnegazione, classe, cinismo ed immensa lucidità nei momenti chiave di ogni match, questo e molto altro ancora era Michael Jordan.
E pensare che anche lui (come Tom Brady) non fu scelto con la pick #1 al Draft (il caso di Tom Brady è ancor più clamoroso…).
Dopo aver vinto 3 titoli consecutivi tra il 1991 ed il 1993, il primo dei quali contro il mitico Magic Johnson, a seguito dell’assassinio del padre decise di ritirarsi dal basket, privo di stimoli, per intraprendere la carriera nel baseball.
Il mondo intero era sotto shock. Il miglior esponente del basket NBA, senza alcun preavviso, lasciava la scena.
La grandezza di questo atleta formidabile sta anche nel constatare che i Chicago Bulls, dominatori fino a quel momento, senza di lui non sono riusciti a superare neanche le semifinali di Conference.
Dal dominio all’anonimato in un amen. Il fenomenale Scottie Pippen, che tanto fa parlare di sé ultimamente, senza Michael è tornato a guardare gli altri vincere.
Un anno e mezzo nel baseball, tanto è durata la fuga di Jordan dal basket per fargli capire che il suo posto non era quello, non era nello sport tanto amato dal padre ma in quello che lo avrebbe consacrato una leggenda.
Nel 1995, torna a stagione ormai avanzata e prossima ai playoffs, in condizioni fisiche non ottimali, ma sarà uno scotto necessario da pagare per tornare ai propri livelli. Rientrato con il 45 (numero legato al fratello) presto tornerà al caro vecchio 23.
L’anno seguente AIR JORDAN è pronto e lo dimostrerà al mondo intero portando i Bulls al record assoluto di vittorie in stagione ed al nuovo trionfo in finale contro i Seattle Supersonics di Gary Payton.
È l’inizio di un nuovo three-peat. Altri tre titoli consecutivi.
Non ci sono più dubbi, MICHAEL JORDAN è il re assoluto, il migliore di ogni tempo.
Qualità offensive e difensive senza eguali
In campo è sempre decisivo, anche quando non è in perfette condizioni fisiche (vedere il cosiddetto flu game nelle Finals 1997), autore di alcune delle prodezze più incredibili mai registrate su un parquet (la schiacciata saltando dalla linea del tiro libero ne è soltanto un piccolo esempio), straordinario atleta di 1.98 cm di altezza, incredibile finalizzatore ma capace di vincere il titolo di Defensive Player of The Year nel 1987, ha esaltato non soltanto i tifosi dei Chicago Bulls ma l’intero pianeta facendo pensare, al sottoscritto, di essere stato non soltanto il più grande giocatore di basket di sempre ma il più grande sportivo in assoluto di ogni epoca e di ogni sport.
Bisogna sempre ricordare (ed a tal proposito è illuminante la serie Netflix THE LAST DANCE) quanto dure e spietate fossero le difese in quegli anni, quanta libertà veniva loro concessa e quali fossero le “attenzioni” riservate al campione di Chicago.
E pensare che questo scettro il 23 di Chicago l’aveva strappato ad un certo Earving Johnson, conosciuto ai più come MAGIC. Mai soprannome fu più appropriato.
Un playmaker di 2.06, avete letto bene, un PLAYMAKER di 2.06 cm di altezza.
Un autentico funambolo, forse il più grande passatore di ogni epoca, capace di giocare in tutti i ruoli possibili come dimostrò già il primo anno da rookie, portando i Lakers al titolo disponendosi da pivot (all’epoca c’erano i pivot e quello dei Lakers era un certo Kareem Abdul Jabbar) poiché il 33 era infortunato.
Magic ha rappresentato il sorriso, la voglia di vincere accompagnata dalla solarità di un fuoriclasse assoluto, avvicinando generazioni intere al mondo della pallacanestro statunitense.
Immenso tra i migliori
La globalizzazione consacratasi con Jordan fondava le sue basi sul gioco fatto conoscere a tutti da Magic, Larry Bird, Isaiah Thomas e tutti quei fantastici interpreti che spopolavano su TMC e venivano raccontati da Dan Peterson che, con vivacità e slang tipicamente americani, hanno fatto sì che chiunque si innamorasse di questo sport e delle gesta di questi campioni.
Fino all’avvento di Michael Jordan era Magic Johnson il più grande e non c’era dubbio su questo.
Ancora oggi, se mi chiedessero quanto sia il divario tra “il più grande” e Magic direi che se divario c’è, è veramente modesto.
Jordan è inarrivabile, d’accordo, ma Magic è proprio lì vicino, attaccato, incollato.
Le sue qualità su un campo di basket sono state uniche ed irripetibili (nessun giocatore di quella stazza ha mai mostrato qualità dinamismo, coordinazione velocità ed agilità simili).
Una pantera gigantesca capace di muoversi con fluidità, di incollare il mondo intero davanti alla tv per assistere alle interminabili sfide contro l’acerrimo “nemico” (nonché forse migliore amico) Larry Bird.
Magic Johnson dichiara di essere positivo all’HIV
Earving Johnson ha vinto ben 5 titoli, accompagnato da un’altra leggenda del basket, il già citato Kareem, e da compagni leggendari come James Worthy, ha dominato la scena fino al giorno in cui ha scioccato il mondo intero dichiarandosi positivo all’HIV.
Il periodo era di massima sensibilità verso l’argomento ed il fatto che il miglior interprete dello sport statunitense fosse stato colpito dall’Aids fece scalpore e, di fatto, chiuse anticipatamente la carriera di Magic.
Lebron James, è lui il vero GOAT della palla a spicchi?
Tutto questo preambolo per arrivare a LeBron James che da molti ultimamente viene indicato come THE GOAT.
Il campione di Akron, nato nella stessa clinica di Steph Curry, è da sempre stato al centro delle attenzioni di chiunque si occupi di basket nel pianeta, un energumeno in grado di dominare la scena grazie ad un’esplosività ed uno strapotere fisico che, fino a quel momento, raramente si era visto su un parquet.
Discreto tiratore, grandissimo penetratore, implacabile nell’uno contro uno, schiacciatore devastante ma anche difensore notevole (quando ne ha voglia) anche perché dotato di ottimo tempismo che lo porta ad essere un ottimo stoppatore.
Il più forte giocatore dell’ultimo decennio con la maglia dei Cleveland Cavaliers, se l’è vista con i Lakers di Kobe Bryant e Shaq, i San Antonio Spurs di Popovic, i Celtics di Kevin Garnett e Paul Pierce senza mai riuscire a raggiungere le Finals, frustrante per chi ha tatuato sulla schiena in bella evidenza la scritta THE CHOOSEN ONE.
Ecco che quindi, nel 2010 arriva THE DECISION, per vincere LeBron James deve emigrare da Cleveland ed accasarsi a Miami andando a comporre con Dwyane Wade e Chris Bosh il cosiddetto BIG THREE.
Il suo trasferimento da Cleveland a Miami ha scatenato un mare di polemiche che, a distanza di 11 anni non stentano ancora a placarsi (fresche fresche le dichiarazioni di un suo ex compagno, Iman Shumpert, che l’ha definito la rovina del basket NBA).
Il basket da quel momento cambia, si comporranno in futuro gruppi di giocatori alla caccia di titoli, anche riducendosi i salari, modificando forse per sempre ciò che costituiva una delle fondamenta dello sport americano ovvero la possibilità di qualsiasi squadra di arrivare alla vittoria grazie ad una buona scelta al draft, competenza ed abilità gestionale.
La scelta di Lebron, comprensibile da un certo punto di vista, andrà a scardinare queste certezze, comportamenti che da sempre contraddistinguono gli atleti NBA anche perché, con Miami, il gigante di Akron riuscirà a raggiungere per 4 volte consecutive le Finals vincendo in due occasioni il titolo.
2 Anelli sono conquistati per cui Lebron può tornare a casa per tentare di portare il titolo a Cleveland.
Gli stessi tifosi che l’avevano odiato bruciando la sua casacca 4 anni prima formeranno file interminabili per il ritorno del figliol prodigo.
Vincere con Cleveland non sarà facile soprattutto per il roster a disposizione ma ormai il nostro è abbonato alle Finals che, anche in maglia Cavaliers raggiungerà per 4 volte consecutive (che con le 4 di Miami fanno ben 8 finali). Complici molti infortuni (Kyre Irving e Kevin Love) nel 2015 è costretto a giocarsi le finali contro gli straordinari Golden State di Curry & co, praticamente da solo.
THE KING ALLA CONQUISTA DELL’NBA
Stoiche prestazioni, accompagnato da un indomabile De La Vedova, riescono a tenere in piedi una serie che gli uomini di Kerr riusciranno alla fine a domare con un 4-2 sudato.
Il capolavoro di LBJ è però quello che realizza l’anno successivo quando, accompagnato da un incredibile Kyre Irving (straordinario talento pazzerello), riesce a ribaltare la serie in finale quando, sotto di 1-3 e con due gare da disputare in trasferta, porta il titolo a Cleveland riuscendo in un’impresa mai riuscita ad alcuno in precedenza.
Il fenomeno di Akron è nella storia, la missione è stata portata a compimento.
Altri due anni con annesse due Finals (e fanno 10 consecutive) porteranno ad altrettante delusioni, uno 4-1 ed uno sweep, sempre contro i Golden State, pongono fine alla seconda esperienza in Ohio.
È pronta una nuova avventura ed i Lakers sembrano la scelta giusta per tornare a vincere.
La squadra viene realizzata anche su indicazioni del RE e, dopo un primo anno pregiudicato da un lungo infortunio, arriva il titolo in piena pandemia.
È il quarto anello per THE KING ed ecco che in molti lo definiscono The Greatest Of All Times.
Le qualità di Lebron e le difese del passato
Straordinario giocatore, abilissimo stratega, cervello finissimo in grado di cogliere le innumerevoli sfaccettature del gioco e di circondarsi di giocatori di proprio gradimento portando però ad un gradino inferiore al proprio colui che, teoricamente, dovrebbe condurre le danze: il coach.
Come già accaduto a Cleveland infatti con Tyronn Lue, anche ai Lakers l’impressione che si ha è che il povero Vogel sia vittima della preponderante personalità di James.
Lebron James ha sicuramente dominato la scena in questi anni, rendendosi autore di partite memorabili, stoppate straordinarie (come quella che di fatto ha dato il titolo a Cleveland nel 2016 ai danni di Iguodala), stabilendo record su record, totalizzando un enorme quantità di punti e assist anche grazie ad un fisico veramente mostruoso che gli consente di ridicolizzare spesso i propri avversari ma tutto questo basta a defiirlo il migliore? Non ai miei occhi e non solo perché tutto ciò è avvenuto in un’epoca in cui le difese sembrano aprirsi al suo cospetto ma anche perché la grandezza di un uno sportivo non si misura soltanto in statistiche, trofei o records ma vanno considerate tutte le varie sfaccettature.
Il contesto in cui si è mosso, la competitività degli avversari, le sue doti in termini di talento e tecnica individuale.
James è sicuramente uno dei più grandi giocatori di sempre (al fianco di altri mostri come Shaquille O’Neall Kobe Bryant ed altri) ma di sicuro non il più grande.
Lo scettro è e sarà ancora saldamente nelle mani di AIR JORDAN.