Sul proprio braccio destro vi è tatuata una scritta che oramai ha assunto anche l’ufficioso ruolo di appellativo con il quale è conosciuto dagli appassionati della palla a spicchi: STAT. Questo soprannome di certo non si riferisce ai numeri messi a referto durante la sua carriera cestistica (pur essendo molto buoni nei suoi migliori anni disputati in NBA) ma è un acronimo che sta per “Standing Tall and Talented” (“in piedi alto e talentuoso”). Un mantra motivazionale che Amar’e Carsares Stoudemire (che proprio oggi compie 39 anni) ha voluto incidere sulla sua stessa pelle, quasi nella speranza che, così facendo, sarebbe riuscito a seguirlo fino in fondo per poter superare qualsiasi ostacolo che la vita gli avrebbe messo di fronte. Nato il 16 novembre 1982 a Lake Wales in Florida, una piccola città vicino a Orlando, Amar’e ha avuto un’infanzia difficile, con i genitori divorziati quando lui era ancora piccolo e una madre che scontava i suoi problemi con la giustizia, tra piccoli furti e contraffazioni, entrando e uscendo continuamente di prigione. Com’è logico aspettarsi una possibile via di fuga da una realtà familiare così disagiata e da un destino solo apparentemente già scritto tra criminalità e delinquenza, per ragazzi come Stoudemire, è rappresentata dallo sport. E in particolare STAT, a partire dall’età di 14 anni, incomincerà a praticare pallacanestro a livello agonistico, oltre che a giocare, per un breve periodo durante l’high school, anche al football americano. Nonostante si sia dovuto trasferire più volte cambiando ben cinque scuole in sei anni (diplomandosi infine alla Cypress Creek High School di Orlando nel 2002) il giovane Amar’e riuscirà a gareggiare interamente le ultime due stagioni del campionato liceale, nelle quali farà registrare numeri da capogiro (una media di 29.1 punti, 15 rimbalzi, 6.1 stoppate e 2.1 recuperi a partita) che lo porteranno, appena ventenne, all’attenzione degli addetti ai lavori a bordo parquet, tanto da vincere numerosi riconoscimenti personali (come il Florida Mr. Basketball e il Florida High School Player of the Year) ed essere convocato al McDonald’s All-American Game (l’incontro di esibizione più importante per un cestista proveniente dall’high school). Ala-grande dotata di ottime doti atletiche e potenza fisica, oltre che di una tecnica non comune per il suo ruolo, Stoudemire si distingue non solo come ottimo realizzatore e rimbalzista, ma anche come eccellente stoppatore e buon “assistman”, venendo presto etichettato come “giovane promessa” del basket. Decide dunque di rifiutare la borsa di studio offertogli dalla Memphis University e di dichiararsi eleggibile direttamente ai draft 2002: una decisione questa indubbiamente rischiosa per un neodiplomato, che comunque si rivelerà essere vincente per STAT, in quanto verrà preso come nona scelta assoluta dai Phoenix Suns (risultando quell’anno l’unico giocatore proveniente dal liceo ad essere stato scelto al primo turno).
Già alla prima stagione con la compagine in canotta violarancio, allenata da Frank Johnson, Amar’e confermerà le pesanti aspettative cucitegli addosso, terminando la regular season con una media di 13.5 punti e 8.8 rimbalzi a partita, e conquistando con la propria squadra, anche grazie al suo enorme contributo, l’accesso ai play-off del 2003 (uscendo sconfitti per 4-2 al primo turno contro i futuri campioni NBA di quella stagione, i San Antonio Spurs dei “Big Three” Duncan, Parker e Ginobili). Il suo massimo stagionale di 38 punti messo a referto il 30 dicembre 2002 contro i Minnesota Timberwolves è il più alto punteggio mai segnato fino a quel momento da un giocatore “prep-to-pro” (cioè passato direttamente dal liceo al livello professionale), un record che verrà scalzato l’anno successivo solo da un certo LeBron James. La sua incredibile prestazione da matricola porteranno STAT inevitabilmente a vincere il tanto ambito Rookie of the Year Award davanti a nomi del calibro di Yao Ming e Caron Butler. Nella stagione successiva, con l’arrivo in panchina di coach Mike D’Antoni, le sue statistiche non solo non vengono in alcun modo intaccate, ma sono addirittura migliorate, nonostante i Suns non riescano a ripetere i risultati lodevoli dell’anno precedente, mancando la qualificazione ai play-off 2004 con un bilancio di 53 sconfitte in 82 gare disputate. Il cambio di rotta per la squadra di Phoenix si concretizza nella stagione 2004-2005 con l’arrivo da free agent del playmaker canadese Steve Nash, la cui presenza sul parquet oltre a portare i ragazzi di D’Antoni a disputare un’ottima regular season (con 62 vittorie e 20 sconfitte) e, quindi, a gareggiare i play-off 2005 (uscendo alle semifinali di Western Conference ancora per mano dei San Antonio Spurs), eleverà esponenzialmente anche il rendimento in campo di Stoudemire, spostato nel frattempo a ruolo di centro.
E’ l’inizio dell’attacco veloce e spumeggiante che caratterizzerà la squadra violarancio della seconda metà degli anni 2000 e che racchiude il “credo” cestistico di coach D’Antoni nei “7 seconds or less”: sviluppato sul perenne gioco in transizione da cui trarre immediati vantaggi nel corso dell’azione e incentrato sul tiro rapido all’inizio dei 24 secondi, reso possibile dal largo uso del pick & roll. Quest’ultimo schema trovava la sua massima espressione proprio con l’asse centrale Nash/Stoudemire (spesso paragonato a quello di Stockton/Malone dei fortissimi Utah Jazz degli anni ’90), e portò il pubblico del “Palazzo Viola” di Phoenix, e non solo, ad innamorarsi di quella squadra così atipica e di un tipo di pallacanestro che, se ai giorni nostri potrebbe essere considerata standard, in quegli anni era la cosa più innovativa mai vista in un campo da basket. Nonostante i molteplici problemi fisici, anche cronici, durante la sua militanza a Phoenix, legati soprattutto ai due infortuni apportati ad entrambe le ginocchia in due periodi differenti (che lo porteranno a saltare praticamente l’intera stagione 2005-2006), e al distacco parziale della retina nella stagione 2008-2009, Amar’e riuscirà a mantenere sempre un alto livello di prestazione (con una media ben al di sopra dei 20 punti e gli 8 rimbalzi a partita). Questo lo porterà ad essere convocato agli All-Star Games per cinque anni (nel 2005 e ininterrottamente dal 2007 al 2010), e a centrare, con Nash e compagni, altri tre play-off (nel 2007, 2008 e 2010), sfiorando le NBA Finals del 2010, dopo essere usciti sconfitti per 4-2 alle finali di Conference contro i campioni NBA in carica dei Los Angeles Lakers di Bryant e Gasol.
Nell’estate del 2010 Stoudemire si trasferisce ai New York Knicks, dove ritroverà il suo ex allenatore ai Suns, Mike D’Antoni, e disputerà un’ottima stagione, confermando i numeri del periodo trascorso a Phoenix e portandolo di conseguenza a partecipare, ancora una volta, agli All-Star Game. Con l’aiuto del neoacquisto Carmelo Anthony (arrivato a calcare il parquet del Madison Square Garden nel febbraio del 2011), condurrà la compagine newyorkese di sponda bianco-arancio-blu ad accedere ai play-off per la prima volta dopo sette anni, venendo successivamente eliminati per 4-0 contro i Boston Celtics. Nonostante la conquista dei play-off anche nelle due stagioni successive, il rendimento di Stoudemire con i Knicks inizia lentamente a peggiorare anno dopo anno, oltre che ad essere funestata da nuovi infortuni (come quello alla schiena nella stagione 2011-2012 o quello al ginocchio all’inizio della stagione 2012-2013). L’arrivo dai Toronto Raptors, nella stagione 2013-2014, della prima scelta ai draft 2006 Andrea Bargnani sposterà definitivamente Amar’e al ruolo di sesto uomo, portandolo alla decisione finale di concludere la sua esperienza a New York nel febbraio del 2015, per traferirsi prima tra le fila dei Dallas Mavericks (fino alla fine della regular season in corso) e poi ai Miami Heat nella stagione 2015-2016.
Dopo un’iniziale dichiarazione di volersi ritirare dal basket giocato, nell’estate del 2016 Stoudemire decide di accettare l’offerta dell’Hapoel Jerusalem, squadra che milita nella Israeli Basketball Premier League e che, nella stagione 2016-2017, è allenata da coach Simone Pianigiani. La scelta, a prima vista sorprendente e inattesa, di accasarsi in Israele per la fine della sua carriera cestistica, risiede, come da lui stesso dichiarato in più occasioni, dalle sue origini ebraiche che lo spingeranno nel 2019 a conseguire la cittadinanza israeliana e adottare il nome di Yahoshafat Ben Avraham. Amar’e darà un grande contributo alla squadra di Gerusalemme nella conquista del campionato israeliano e della coppa di lega, oltre che al raggiungimento delle semifinali di Eurocup (perse solo dopo gara 3 contro il Valencia). Dopo una breve parentesi con la squadra cinese del Fujian Sturgeons nel 2019, STAT torna in Israele vestendo la canotta gialloblu del Maccabi Tel Aviv per la stagione 2019-2020 e riconquistando, da MVP delle finali, un altro campionato israeliano, per poi appendere definitivamente le scarpe da basket al chiodo.
Il 30 ottobre scorso, a poche settimane dal suo trentanovesimo compleanno, è stato assunto dai Brooklyn Nets come assistente deputato allo sviluppo dei giocatori, entrando a far parte di uno staff tecnico che, oltre ad annoverare come capo allenatore proprio Steve Nash, presenta tra la sue fila anche Mike D’Antoni come assistente allenatore. L’ennesimo colpo inaspettato da parte STAT, tanto quanto quell’apostrofo inserito nel suo nome e che sembra quasi prendere vita per portare il blocco sulla “R” e liberare così il tiro alla “E”. Chissà che il trio magico di quegli anni d’oro ai Suns, riformatosi nel distretto bianconero di New York, non porti ad un nuovo periodo di basket spumeggiante e alla conquista del tanto agognato anello NBA.