Soltanto vent’anni fa l’Italia era il punto d’approdo dei più grandi talenti al mondo. La “scesa in campo” del Cavaliere (Silvio Berlusconi) aveva totalmente rivoluzionato il modo di fare calcio nel Belpaese. Allo strapotere juventino, che da sempre contraddistingue il calcio italiano, l’imprenditore brianzolo contrappose la legge del denaro, coi quattrini d’altronde si compra di tutto per cui perché non prendere i migliori talenti dell’epoca anche soltanto per toglierli alla concorrenza? Salvo poi neanche schierarli in campo non avendone necessità.
Clamoroso fu l’affare Lentini (acquisto record per l’epoca a circa 18 miliardi di lire).
Acquisti mirabolanti, stipendi altissimi, cambiò tutto in un battibaleno.
Fino all’avvento del Berlusca, spesso e volentieri, la vecchia Signora del calcio italiano poteva prevalere in una trattativa anche soltanto utilizzando il proprio blasone. Ora non più.
A seguire le orme del primo grande magnate del calcio italico ecco affacciarsi altri due imprenditori rampanti, Cragnotti e Tanzi che, con Parma e Lazio, contribuiranno a far salire ulteriormente le cifre, gli ingaggi, il costo dei cartellini.
A completare il quadro Moratti e la sua Inter, sempre alla ricerca di acquisti spettacolari per dare alla parte nerazzurra di Milano una squadra super competitiva.
Gli anni 80
Il grande calcio degli anni ’80 (dove si potevano schierare soltanto 2 stranieri a squadra), è ormai un ricordo, adesso sono 5 se non 7 le sorelle ad ambire ad un posto nell’élite del calcio nostrano (e non solo). Al solito trio Juve-Milan-Inter ora si aggiungono Roma, Napoli, Lazio e Fiorentina.
Viene chiamato il campionato delle sette sorelle ed i grandi campioni, da ogni dove, vanno a finire quasi totalmente in queste sette squadre.
L’Inghilterra non è una rivale temibile e nessun fuoriclasse si sognerebbe mai di scegliere Liverpool o Chelsea piuttosto che Roma o Milan.
Ma cosa è accaduto allora per determinare una simile inversione di tendenza? Cosa ha portato il nostro campionato ad essere considerato attualmente come il terzo o quarto al mondo per importanza quando soltanto pochi anni fa era nettamente il miglior campionato in assoluto?
Perché oggi vengono a svernare in Italia giocatori da Spagna ed Inghilterra, facendo peraltro bella figura (basti vedere gli esempi di Lucas Leiva, Mikitarian e Smalling) mentre anche i nostri talenti emergenti fanno il percorso inverso (Scamacca ed ultimo, ma non ultimo, Casadei dall’Inter al Chelsea a soli 19 anni).
Sicuramente l’avvento delle PayTv ha sparigliato tutto ma in Italia non si è stati in grado di adattarsi al nuovo corso che questo tipo di mercato stava imponendo anzi, molti “piccoli imprenditori” sono stati messi nelle condizioni di arricchirsi proprio grazie a questa rivoluzione.
Non più mecenati che rischiano il proprio patrimonio per visibilità, vanagloria, ambizione personale, nel tentativo forsennato di raggiungere il migliore risultato possibile con il proprio “giocattolo”, ora ci sono presidenti (ed in molti si succederanno) che hanno nella propria squadra il “core-business” della propria attività, il serbatoio dal quale attingere ricavi anziché disperderne.
Ne consegue un impoverimento di tutto il sistema.
Spese folli e caduta libera
Basti pensare a ciò che per anni è stata l’Udinese o l’Atalanta, società che hanno formato campioni, ottenuto grandi piazzamenti in campionato, raggiunto qualificazioni alle competizioni più prestigiose a livello europeo (come la Champions League) salvo poi smembrare il proprio organico cedendo i pezzi migliori a cifre astronomiche (quasi sempre all’estero), non riuscendo pertanto ad onorare la competizione raggiunta in quanto tali cifre non venivano poi reinvestite e reimmesse nel circuito economico bensì accantonate a vantaggio esclusivo del padrone della società in questione.
Ciò ha portato ad un decrescimento significativo del valore del nostro calcio, alla perdita di posti nelle Coppe Europee, ad una minore competitività a livello generale.
La pirateria poi, fenomeno presente in Italia in maniera abnorme (Terra di furbetti), ha di fatto posto un freno all’accrescimento dell’intero movimento, ha ridotto (anziché aumentato) gli importi che Sky voleva investire portando al confusionario scenario attuale.
Lo scarso appeal del nostro prodotto verso i “clienti”, che altri non sono che quei tifosi che, da sempre, devono caricarsi sulle spalle l’onere più grande (mettere mano al portafogli) salvo essere considerati poco o niente mentre in altri Paesi (Inghilterra su tutti) è proprio il tifoso, il “supporter” ad avere un ruolo centrale, nevralgico, fondamentale nello sviluppo dell’intero discorso calcistico.