Tra le pagine dei libri di storia riguardanti il calcio nostrano non è raro imbattersi in una foto che a prima vista non ha molto in comune con le altre: non ritrae una formazione titolare in posa prima del calcio d’inizio, o l’esultanza per uno storico gol segnato, né tantomeno uno spettacolare gesto atletico. Nel bianco e nero di un ritratto ormai sbiadito dal tempo c’è un giovane calciatore che indossa una maglia fregiata di uno scudetto tricolore cucito sul petto, ed è piegato sulle gambe mentre abbraccia un bambino che stringe tra le sue manine un pallone da calcio ricoperto da strisce di cuoio scure ed impermeabili (tipico della prima metà del XX secolo). L’uomo è Valentino Mazzola, l’indimenticabile capitano del “Grande Torino” pluricampione d’Italia per cinque stagioni consecutive e colonna portante della Nazionale italiana nell’immediato secondo dopoguerra, che fatalmente perse la vita, insieme all’intera squadra degli “invincibili”, nello schianto aereo del 4 maggio 1949, e che verrà in seguito ricordato come “la tragedia di Superga”. Il bimbo è suo figlio Alessandro, detto Sandro, nato proprio a Torino l’8 novembre 1942.
La foto in questione, tanto semplice quanto densa di significato, è stata, in qualche modo, simbolicamente profetica: quel bimbo, nonostante il peso di un’ombra tanto ingombrante come quella dell’essere “figlio d’arte” di un’autentica leggenda del pallone, diventerà, da grande, uno dei migliori calciatori italiani di tutti tempi, oltre che, tra gli anni ’60 e ’70, uno degli attaccanti più prolifici della sua generazione. Giocatore versatile tra la zona di centrocampo e quella dell’area avversaria, dotato di ottime capacità atletiche, grande dribbling e lucidità sottoporta, “Mazzandro” (come era stato soprannominato dal giornalista Gianni Brera) ha legato il suo nome indissolubilmente a quello dell’Inter, per la quale ha giocato dal 1961 (appena uscito dalle giovanili del Torino) al 1977 (anno del suo ritiro dall’attività agonistica), segnando 158 reti in 565 presenze e, nelle ultime sette stagioni, indossando anche la fascia da capitano. Con la compagine milanese di sponda nero-azzurra il “Baffo” è stato tra i protagonisti che permisero di scrivere un ciclo inimitabile di trionfi sia in Italia che in Europa: era quella l’Inter del presidente Angelo Moratti, del “Mago” Helenio Herrera e di una formazione straordinaria che i tifosi testimoni di quegli anni ancora ricordano a memoria e la canticchiano come una nostalgica filastrocca (“Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso“). In quel periodo, che abbraccia un arco di tempo che va dal 1962 al 1966, i nerazzurri portarono in bacheca un bottino quasi ineguagliabile: 3 campionati nazionali, 2 Coppe dei Campioni (in due edizioni consecutive) e le conseguenti 2 Coppe Intercontinentali. In tutti quegli innumerevoli successi, che portarono il nome di quella squadra ad essere per sempre preceduto dal riconoscimento di “Grande” (proprio come per il Torino del padre Valentino), la firma di Sandro Mazzola è stata sempre presente. Fu infatti il capocannoniere della Serie A, con 17 reti, nella stagione 1964-1965 (coincidente con il suo secondo scudetto vinto), il miglior realizzatore, con 7 marcature, nella vittoriosa edizione targata 1963-1964 della Coppa dei Campioni (in cui l’Inter, alla sua prima partecipazione al torneo continentale, riuscì a battere in finale, grazie proprio ad una doppietta del “Baffo”, il Real Madrid di Alfredo Di Stefano e Ferenc Puskás), ed è, tutt’ora, il migliore marcatore interista ed italiano nella Coppa Intercontinentale, mettendo a referto 3 reti in due consecutive edizioni, giocate nel 1964 e nel 1965, in virtù della conquista delle due “coppe dalla grandi orecchie”, ed entrambe vinte. Successivamente a quel periodo d’oro, l’attaccante interista vinse un altro scudetto nella stagione 1970-1971 (l’ultimo suo titolo vinto vestendo i colori nero-azzurri del “Biscione”).
Il contributo che Sandro Mazzola ha dato nel portare il calcio italiano ai vertici più alti delle competizioni internazionali non si limita di certo al club milanese: anche con la Nazionale maggiore raggiungerà traguardi importanti con 22 reti in 70 presenze. E pensare che il suo debutto in una gara ufficiale, e non amichevole, indossando la maglia azzurra scudettata non era stato dei migliori: fallì un tiro dal dischetto contro l’Unione Sovietica nella partita valevole per la qualificazione al campionato europeo del 1964. A neutralizzarglielo fu nientemeno che il leggendario portiere Lev Jašin (tutt’ora l’unico nel proprio ruolo a vincere il Pallone d’Oro). Ma come canta Francesco De Gregori: “Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore…”, e mai strofa fu più azzeccata per il giovane Sandro. Con gli azzurri, infatti, allenati in quegli anni dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi, vinse il Campionato d’Europa nel 1968 (primo trofeo continentale per l’Italia) e si laureò vice campione mondiale nel 1970 dietro soltanto al formidabile Brasile di Pelè, Rivelino e Jairzinho, prendendo parte alla spedizione italiana che giocò quella che verrà successivamente eletta come la “Partita del secolo” (la semifinale vinta per 4-3, solo dopo i pirotecnici supplementari, contro la Germania dell’Ovest di Franz Beckenbauer e Gerd Müller all’Estadio Azteca di Città del Messico). Celebre fu, in quell’edizione messicana di Coppa del Mondo, la “staffetta” tra lui e Gianni Rivera (suo rivale, oltre che per un posto da titolare in Nazionale, anche nei vari “derby della Madonnina” di quegli anni, in quanto giocatore simbolo del Milan di Nereo Rocco) che divise non solo i tifosi della “Stracittadina” milanese ma tutti gli appassionati di calcio nostrano.
Tra i vari riconoscimenti personali ricevuti in carriera, Mazzola sfiorò la vittoria del Pallone d’Oro nel 1971, andato, quell’anno, al “Profeta del gol” Johan Cruijff. Il “Tulipano” olandese gli toglierà, successivamente, anche la gioia di sollevare una terza Coppa dei Campioni (nella stagione 1971-1972) siglando una doppietta nella finale di Rotterdam contro la squadra nerazzurra: era l’inizio del dominio del “calcio totale” olandese nel Vecchio Continente calcistico.
Dopo aver appeso le scarpe bullonate al chiodo, svolse vari ruoli dirigenziali proprio all’Inter fino al 1984, per poi tornarci, nella seconda metà degli anni ‘90, sotto la presidenza di Massimo Moratti in veste di direttore sportivo e responsabile di mercato. Nel 2014 gli è stato dato dalla FIGC e dalla Fondazione Museo del calcio di Coverciano il prevedibile riconoscimento di entrare a far parte ufficialmente della Hall of Fame del calcio italiano.
È curioso ricordare che al momento di annunciare alla stampa il proprio ritiro dall’attività agonistica, nel 1977, Sandro Mazzola scomodò i versi del Sommo Poeta: “«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». Noi dunque non ci dilungheremo oltre nel celebrare un mito indiscusso del calcio italiano ed internazionale, ci limitiamo solamente ad augurare a questa leggenda i migliori auguri per queste 79 candeline da spegnere e a ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per il calcio italiano con l’aiuto di un semplice pallone di cuoio, lo stesso che in quella foto con suo padre teneva tra le mani. Buon compleanno “Baffo”!