Il suono delle onde che si infrangono dolcemente sulla battigia viene improvvisamente interrotto dal rumore ripetitivo di un pallone che rimbalza sulla piastra in cemento. Il palleggio, incerto ma costante, sembra quasi echeggiare per tutto il campetto da basket. Uno dei tanti, incastonati nella sabbia e disposti a schiera lungo tutta la spiaggia di Roseto degli Abruzzi. La recente conclusione della stagione balneare permette di avere alle spalle del canestro una visuale completamente libera dalla presenza di eventuali ombrelloni: un mare calmo e sereno che veste ancora dei riflessi solari del mattino. D’improvviso la palla viene lanciata in aria trovando una traiettoria parabolica che le permette di centrare perfettamente l’anello e, di conseguenza, gonfiare la retina. “Papà, hai visto? Ho fatto canestro!!” – Il bimbo, pieno di gioia, rincorre la sfera ancora rimbalzante dopo l’atterraggio al suolo, mentre il padre osserva sorridente la scena lì vicino. Non può fare a meno di rivedersi in suo figlio, quando anche lui già da piccolo amava giocare a pallacanestro. Uno sport che in questa cittadina abruzzese affacciata sul Mar Adriatico è poco più di una passione e poco meno di una religione. Non è un caso, infatti, che qui la palla a spicchi abbia fatto la sua prima comparsa già nel lontano 1922 e che si giochi ininterrottamente dal 1945 uno dei più antichi tornei estivi di basket d’Europa (il Trofeo Lido delle Rose). L’uomo ripensa alla fortuna di aver potuto assistere sugli spalti del PalaSalara (ora dedicato alla memoria dello storico giocatore Remo Maggetti) al periodo d’oro della pallacanestro rosetana, corrispondente ad un arco di tempo che abbraccia più o meno un decennio.
Ad iniziare dalla stagione 1997-1998, quando la squadra allenata da coach Tony Trullo, e composta da una rosa che comprendeva tra gli altri Leonardo Busca e Claudio Bonaccorsi, conquistò la promozione in A2 (che mancava da ben 15 anni) e la Coppa Italia di Lega (primo trofeo nazionale nella bacheca della società abruzzese). Nel giro di due anni il Roseto Basket riuscì a centrare la promozione diretta nella massima serie, terminando la regular season della stagione 1999-2000 in testa alla classifica. Lo storico traguardo fu raggiunto grazie alla guida in panchina di coach Phil Melillo e al contributo sul parquet di un roster che tra gli altri includeva giocatori del calibro di Mario Boni, Abdul Fox, Paolo Moretti e Albert Burditt.
Nei sei anni di onorata militanza in A1 che ne seguirono, la società rosetana raggiunse traguardi se non insperati quasi certamente sorprendenti per una realtà così piccola nel panorama cestistico nazionale. Basti pensare al raggiungimento dei play-off scudetto in quattro stagioni (inclusa quella del 2000-2001 da neopromossi), alla partecipazione delle Final Eight di Coppa Italia in due occasioni (sfiorando la finale nell’edizione del 2003, dopo una partita al cardiopalma giocata al PalaFiera di Forlì e persa contro la Pallacanestro Cantù), o ancora allo storico esordio in una competizione europea, prendendo parte alla ULEB Cup della stagione 2002-2003 e raggiungendo le Top 16.
Furono gli anni quelli in cui il pubblico delle grandi occasioni rosetano poté fare da cornice a partite indimenticabili della propria squadra, sia tra le mura amiche del PalaSalara, sia in trasferta, entrate di diritto nella memoria collettiva. Come la vittoria casalinga per 108 a 105 contro i campioni d’Italia in carica della Montepaschi Siena, o quella in trasferta al PalaDozza a scapito della Fortitudo Bologna per 98 a 101, entrambe avvenute durante il campionato del 2004-2005. Tra le tante gare, particolarmente sentite furono sicuramente i “derby d’Abruzzo” contro i cugini del Teramo Basket, che infiammarono il palcoscenico della massima serie per tre campionati consecutivi dal 2003 al 2006.
Tanti i giocatori che indossarono la casacca bianco-azzurra e contribuirono ai successi di quella incredibile parentesi cestistica: Mahmoud Abdul-Rauf, Duane Woodward, Ansu Sesay, Ian Lockhart, Stefano Attruia, Marco Milic, Diego Fajardo, Teemu Rannikko, Dewayne Jefferson e Robert Fultz, solo per citarne alcuni.
In piedi sul quel campetto da basket illuminato da un sole autunnale insolitamente caldo, l’uomo continua ad elencare nella mente tutti i loro nomi e ad abbinare ad ognuno di essi canestri e giocate che in quegli anni facevano esplodere dalla gioia i tifosi rosetani. Non può fare a meno di chiedersi se anche suo figlio avrà la fortuna di vivere emozioni sportive come quelle, o e se la pallacanestro di questa orgogliosa cittadina costiera riuscirà a tornare a quei fasti così lontani eppure allo stesso tempo tanto vicini. Ben presto si rende conto che unendo tutti quei ricordi come in un bellissimo puzzle l’insieme assumerebbe la forma di una palla a spicchi. La stessa che d’un tratto si ritrova tra le mani e lo risveglia dai pensieri in cui si era beatamente immerso fino a quel momento. “Dai papà tira!!!” – Dopo un iniziale tentennamento, l’uomo posiziona la palla sopra la propria testa, tenendola da sotto con i polpastrelli della mano. La sfera viene rilasciata dopo una spinta verso l’altro del braccio e una torsione verso il basso del polso, assumendo la tipica rotazione all’indietro. Mentre osserva la curva parabolica disegnata da quel tiro, l’uomo si sente un po’ più sereno: pensa che in fondo se c’è una cosa che per certo suo figlio conoscerà negli anni a venire, comunque vadano le fortune cestistiche a Roseto, sarà sicuramente l’amore incondizionato e profondo che in questa striscia di terra pianeggiante, protetta da un lato dalle colline teramane e dall’altro dal Mar Adriatico, si continuerà a provare per questo sport. Si sente il suono inconfondibile della palla che accarezza la retina, per poi rimbalzare nuovamente al suolo: “Bravo papà! Hai fatto canestro anche tu!”.