Sdengo era il soprannome affibbiato al mitico Zdenek Zeman dal presidente del Foggia, sul finire degli anni 80, Pasquale Casillo.
Era il Foggia delle meraviglie, Zemanlandia nacque proprio lì, con il tridente Baiano – Rambaudi – Signori.
Un 4-3-3 talmente spettacolare da far innamorare l’Italia intera di quella banda di giocatori che, a velocità supersonica, era capace di annientare i propri avversari, senza alcun timore reverenziale.
Dalla B alla A e poi tre stagioni che in Puglia non dimenticheranno mai con piazzamenti importanti, sfiorando addirittura un posto nelle Coppe Europee (quando arrivare nelle Coppe era veramente complicato).
Il calcio sfrontato del tecnico boemo conquista l’Italia, le geometrie offensive uniche al mondo, la velocità d’esecuzione, il modo in cui il tridente offensivo riusciva a fare a fette le retroguardie avversarie lasciava letteralmente a bocca aperta.
In quegli anni il Calcio Italiano dominava in Europa, i migliori giocatori erano praticamente tutti nel Belpaese, erano gli anni di Gullit Van Basten ed il grande Milan di Sacchi eppure, quel tecnico serioso, dal sorrisetto beffardo e dalle risposte stringate ma taglienti, destava scalpore e ammirazione.
Provinciale spavalda
Una piccola squadra di provincia affrontava chiunque a viso aperto, una novità assoluta. La difesa poco ermetica non destava molta preoccupazione negli ammiratori.
L’idea di poter vincere in quel modo, contrapponendosi allo strapotere del grande Milan affascinò Sergio Cragnotti, presidente della Lazio che, dopo aver preso nel ‘92 Beppe Signori, il folletto biondo di origini bergamasche tramutatosi subito in idolo della tifoseria biancoceleste, decise di ingaggiare il tecnico boemo e ricomporre, con Rambaudi, buona parte del tridente foggiano.
Calcio capitale
È ora la Lazio ad esprimere un calcio totale, offensivo, spregiudicato, in grado di annichilire i propri avversari una volta passati in vantaggio.
Il maggior tasso tecnico degli elementi messi a disposizione da Cragnotti (Marchegiani, Fuser, Aaron Winter, Di Matteo, Chamot, Casiraghi, Boksic, Doll, Gascoigne, Nesta, Nedvěd voluto proprio dal tecnico boemo che convinse il presidente della Lazio a portarlo a Roma) rendono la Lazio ben presto un’armata in grado di fare letteralmente a pezzi gli avversari (7-1 proprio al Foggia, 8-2 alla Fiorentina di Batistuta e Rui Costa, 4-1 all’Inter, 4-0 al Milan campione d’Italia e così via).
Sembra che quel sogno, quell’utopia, il calcio zemaniano ZEMANLANDIA, possa davvero trasformarsi in realtà.
Ma partita dopo partita, cocente delusione seguita a vittoria fragorosa, pian pianino cominciano ad affiorare le lacune di un sistema di gioco che sembra non prevedere alcuna attenzione per la fase difensiva, tanto cara in queste lande.
Tutti all’attacco, zero pragmatismo, nessun calcolo, difficile raggiungere un trofeo in quel modo.
I piazzamenti finali in campionato sono decorosi ma non si lotta mai veramente per un titolo e nelle Coppe il risultato è ben peggiore fino a culminare nell’incredibile eliminazione di Tenerife del 1996, una partita che segnerà definitivamente il percorso Laziale di Zeman che, di fatto, conclude lì la sua avventura romana.
Messo alle porte, con la morte nel cuore da Sergio Cragnotti (innamoratissimo del suo modo di essere e di interpretare il calcio), il boemo ha l’occasione di servire su un piatto d’argento una terribile vendetta.
Sarà Franco Sensi, presidente dei cugini giallorossi, a dargli l’occasione di cancellare l’onta del licenziamento ma, alla guida dei giallorossi non riuscirà a riproporre le magie di Foggia e Lazio, anzi, verrà ricordato a lungo per i 4 derby persi in quattro mesi (tra Coppa Italia e Campionato).
Dopo essere stato accolto come un re a Trigoria viene messo alla porta al termine della seconda stagione.
L’utopia zemaniana sembra già tramontata sono anni di anonimato, esoneri, esperienze complicate.
Che Pescara!
La magia svanita, il calcio spettacolo un lontano ricordo ma ecco che, d’un tratto, in serie B a Pescara si ricomincia a vedere quel calcio che vent’anni prima aveva stupito l’Italia.
Ciro Immobile, Marco Verratti e Lorenzo Insigne sublimano il proprio calcio agli ordini del 65enne Zeman che conduce, al termine di una stagione esaltante, il Pescara alla massima serie dopo quasi vent’anni, vincendo il campionato.
Ricomincia il sogno e, ad innamorarsi ancora di lui, è di nuovo la Roma che lo ingaggia per la seconda volta nel 2012 salvo poi licenziarlo nello stesso anno.
E di nuovo in giro per le panchine, incapace di fermarsi, sempre desideroso di impartire le proprie idee di gioco, vedere le geometrie tanto care del suo 4-3-3 dipanarsi sul manto verde, non importa dove, non importa in quale categoria.
L’importante per lui sembra poter farlo, potersi esprimere, allenare giovani e renderli campioni, poter dire la propria (cosa che negli anni gli costerà molto, troppo, soprattutto se si considera quanto azzeccate fossero le sue esternazioni su doping amministrativo e finanziario).
L’ingaggio di questi giorni da parte del Pescara, alla veneranda età di 75 anni, con un contratto già blindato fino al 2024, sarà l’ultimo capitolo di una saga interminabile?