Mentre Dzeko rinnova con l’Inter ancora per un anno ed Ibrahimović non vuole decidersi, malgrado gli acciacchi che ne hanno limitato le presenze in campo negli ultimi due anni a semplici apparizioni, di appendere le scarpe al chiodo ciò che risulta sempre più evidente in Italia è che, oltre alle scarse possibilità economiche di chi gestisce le varie società di A, siano sempre meno le idee, sempre meno le possibilità di attingere da vivai fiorenti, sempre più difficile far posto a giovani di talento in grado di mettere a sedere questi vecchi marpioni incapaci di dire basta.
Il fenomeno in atto in questi ultimi anni, del quale è stato capostipite forse Javier Zanetti, capitano nerazzurro in grado di calcare i campi della massima serie con prestazioni all’altezza fino al giorno del suo ritiro dal campo avvenuto nel 2014 alla veneranda età di 41 anni, sta assumendo connotati alquanto allarmanti.
Il caso del capitano nerazzurro era infatti un qualcosa di unico nel panorama sportivo italiano dove nessuno o quasi riusciva a superare i 35/36 anni ed ancora ci si ricordava di Vierchowod che aveva smesso nel 2000, anch’egli a 41 anni, come a qualcosa di incredibile o quasi.
Sicuramente sono migliorate, e di molto, le tecniche d’allenamento, oggi i giocatori di calcio sono veri atleti e la longevità ne ha tratto un enorme giovamento ma, anche con questi vantaggi superate certe soglie è inevitabile dover far fronte a delle leggere flessioni che, in ambito professionistico, dovrebbero causare un inevitabile accantonamento.
Basta un piccolo ritardo nei riflessi, un’esplosività ridotta nell’elevazione o nello scatto a determinare un’inferiorità rispetto ad un avversario di pari livello ma minore età.
Ciò nonostante molti campioni non vogliono arrendersi al passare del tempo e provano, in ogni modo, ad opporsi all’inevitabile declino fisico.
Francesco Totti è stato forse l’esempio più emblematico di questa nuova tendenza, di questo nuovo modo di approcciare da parte di sportivi che proprio non ne vogliono sapere di appendere le scarpette al chiodo e, anzi, provano in ogni modo a procrastinare il più possibile questo inevitabile momento anche a scapito di prestazioni che possono in qualche modo anche offuscare una carriera intera.
Il loro atteggiamento è anche forse favorito anche dalla scarsa opposizione degli avversari, dal livello sempre più tendente verso il basso dei giovani (e non solo) d’oggi che, opponendo scarsa opposizione alle performance di questi “anzianotti” di fatto avalla la loro scelta di proseguire una carriera che dovrebbe ormai essere finita.
Se a Totti (o Ibrahimović) lasci 3 metri, se non li marchi in maniera asfissiante questi fuoriclasse continueranno a fare goal anche a 50 anni.
E la tendenza a non volersi arrendere al passare del tempo oltre al calcio nostrano (dove imperversa ancora in B un certo Gigi Buffon….) riguarda l’intero mondo dello sport, basti pensare a Tom Brady che, nel football americano (sport dagli impatti fisici notevoli) ha detto basta solo ora, a 45 anni suonati dopo aver vinto l’ennesimo Superbowl a 43 anni oppure a LeBron James che, coi suoi Lakers, prova ancora a vincere il titolo NBA a 38 anni in uno sport nel quale il dispendio energetico a livello atletico è forse il più estenuante oppure a Valentino Rossi che, in sella alla sua Yamaha, ha corso fino a poco tempo fa rischiando anche la vita in un terribile incidente, ritirandosi soltanto poco tempo a fa a 42 anni.
Anche Federer per dire basta ha dovuto aspettare i suoi 41 anni, cosa impensabile fino a qualche tempo fa in uno sport, il tennis, nel quale i più grandi esponenti arrivavano a malapena a superare i 30 anni.
Tornando a noi comunque è auspicabile che si ritorni ad avere giovani di livello più alto, possibilmente italiani, in grado di soppiantare questi fenomeni e portarli dall’altra parte della barricata.