Passeggiando lungo il percorso pedonale in legno che costeggia da un lato il mar Adriatico e collega tra loro le spiagge di “Levante” e di “Ponente” non si può fare a meno di giungere a Piazzale della Libertà, meta tradizionale d’incontro per cittadini e turisti che divide in due il litorale di Pesaro. Qui, adagiata sulla superficie dell’acqua di una fontana al centro di un prato ben curato, quasi come in un’incantevole terrazza con vista sul mare, vi è un’imponente sfera in bronzo che, dischiudendosi, sembra rivelare un complesso meccanismo al suo interno. L’affascinante opera d’arte contemporanea (realizzata nel 1998 su modello di quello originale che attualmente si trova a Roma davanti all’ingresso principale della Farnesina e che dal 1971 era posta proprio in questa stessa piazza) è la “Sfera Grande” dello scultore Arnaldo Pomodoro, divenuta nel tempo parte integrante del ricco volto architettonico della città. Sedendosi su una delle tante panchine stile liberty della piazza, e guardando la scultura bronzea riflettere i raggi mattutini, riesce molto facile intuire (per lo meno a qualsiasi amante del basket) come i pesaresi si siano potuti affezionare, sin dagli anni settanta, a questa bellissima presenza scenica, fino a chiamarla familiarmente la “Palla di Pomodoro”. La scultura pare, infatti, celebrare la forma di un’altra sfera che da queste parti conoscono fin troppo bene: quella a spicchi.
Passione Cestistica
Il merito della smisurata passione per questo sport (la cui prima apparizione nel capoluogo di provincia marchigiana viene posta tradizionalmente nel lontano 1938) lo si deve in particolar modo, per storia e traguardi raggiunti, alla principale società di pallacanestro della città: la Victoria Libertas. Nata nel 1965 a seguito della fusione fra le due principali realtà cestistiche di Pesaro di quel periodo (la Victoria e la Libertas appunto), e nonostante le molte partecipazioni consecutive nella massima serie nazionale dal 1965 al 1973, la svolta per la compagine cestistica biancorossa avvenne proprio l’anno successivo alla sua retrocessione in A2, quando nel 1975 la famiglia Scavolini divenne lo sponsor ufficiale della squadra, per poi esserne, dieci anni più tardi, la proprietaria. Il connubio, uno dei più longevi della storia del basket italiano (durato circa 40 anni fino al 2013), portò la “Scavolini Pesaro” (come sarà semplicemente conosciuta da lì in avanti) a raggiungere traguardi cestistici nazionali e internazionali di altissimo livello, in un periodo d’oro che può essere racchiuso all’interno dell’intera decade degli anni ’80 fino a toccare gli inizi del decennio successivo. Furono gli anni quelli in cui lo storico Palasport di Viale dei Partigiani (meglio noto come l’“Hangar”), vero e proprio luogo di culto per gli appassionati del basket pesarese e teatro delle partite casalinghe della Vuelle, divenne uno dei campi più ostici e temuti nel panorama cestistico europeo.
Cambio di rotta
Dopo la riconquista della A1 nella stagione 1977-78, e il successivo biennio segnato dalla faticosa lotta per evitare la retrocessione, cominciarono ad emergere i primi segnali di un cambio di rotta della società marchigiana con l’allestimento di un roster capace fin da subito di giocarsela contro le più forti squadre della pallacanestro nostrana. Tra il 1980 e 1982 arrivarono a Pesaro cestisti del calibro dell’ala Domenico Zampolini, della guardia italoamericana Mike Sylvester, del centro statunitense Roosevelt Bouie, della giovanissima ala-grande Walter Magnifico (futura leggenda anche della nazionale italiana per la quale realizzerà 2 064 punti in 208 presenze) ed infine della fortissima guardia serba Dragan Kićanović (vincitore, con la nazionale jugoslava, di un titolo olimpico, un mondiale e tre campionati europei). I risultati sul parquet non tardarono ad arrivare: dopo il raggiungimento dei quarti di finale dei play-off nell’annata 1980-81, i successivi innesti alla rosa e la guida in panchina di coach Petar “Pero” Skansi permisero alla Vuelle di conquistare, già nella stagione successiva, il primo posto in classifica della regular season e, soprattutto, le prime finali scudetto della sua storia. La sfida verrà persa per 2-0 contro l’Olimpia Milano di Mike D’Antoni e Dino Meneghin, la quale, proprio in quella occasione, si guadagnò il diritto di fregiarsi della seconda stella. Nonostante la cocente sconfitta rimediata al termine di una grandiosa prestazione stagionale, fu chiaro a molti che la Scavolini Pesaro si fosse appena affacciata nell’élite del basket nazionale e che vi sarebbe rimasta ancora per molto tempo.
Quella maledetta Olimpia
A conferma di questo, nella stagione 1982-83, i biancorossi conquistarono il loro primo (e finora unico) trofeo continentale, aggiudicandosi, nella finale a Palma di Maiorca, la Coppa delle Coppe ai danni dell’ASVEL Lyon-Villeurbanne con il punteggio di 111-99. Il percorso scudetto della compagine pesarese, invece, si fermò a gara 3 delle semifinali play-off, ancora per mano della, oramai, acerrima rivale Olimpia Milano di coach Dan Peterson. Il biennio successivo vide un periodo di transizione in termini di risultati per la Victoria Libertas, con la partenza di giocatori importanti (come il “cobra” Kićanović) e l’innesto nel quintetto di giovani pedine come il playmaker Andrea Gracis e il pivot Ario Costa, cestisti che, insieme ai già citati Magnifico e Zampolini, legarono il loro nome alla canotta biancorossa per moltissime stagioni e divennero di fatto l’ossatura principale della squadra marchigiana di quegli anni. I successi ottenuti nella stagione 1984-85 diedero sostanzialmente ragione ai cambi effettuati nel roster della Vuelle (allenata quell’anno da un giovanissimo Giancarlo Sacco) con la conquista della prima Coppa Italia (vinta nella doppia sfida finale contro la Pallacanestro Varese) e l’insperata qualificazione alle finali play-off, dopo aver chiuso la prima fase del campionato all’ottavo posto. Ma il sogno di conquista del tanto agognato scudetto venne ancora una volta infranto dall’Olimpia Milano che si impose sui pesaresi nuovamente per 2-0. La squadra meneghina si confermò “bestia nera” della Scavolini Pesaro anche nelle successive due stagioni, negando in finale la vittoria ai marchigiani della loro seconda Coppa Italia per due edizioni consecutive. A queste cocenti sconfitte si aggiunsero, nello stesso biennio, anche le due finali di Coppa delle Coppe perse nel 1986 a Caserta contro il Barcellona di “Epi” San Epifanio Ruiz e di “Chicho” Sibilio con il punteggio di 101-86, e nel 1987 a Novi Sad contro il Cibona Zagabria dei fratelli Aleksandar e “Sua Maestà” Dražen Petrović per 89-74.
Il Darren & Darwin Show
La stagione 1987-88 fu segnata dall’arrivo in panchina del “Vate” Valerio Bianchini, allenatore di grande esperienza avendo al proprio attivo, tra i tanti trofei, anche due scudetti e due Coppe dei Campioni (un doppio double conquistato prima con la Pallacanestro Cantù e poi con la Virtus Roma), con al seguito, in qualità di vice, un giovanissimo Sergio Scariolo (futuro vincitore, alla guida della nazionale spagnola, di una Coppa del Mondo e di tre campionati europei, oltre che di un titolo NBA come assistant coach dei Toronto Raptors). Ma soprattutto dall’acquisto degli americani Darren Daye (ala piccola proveniente dai Boston Celtics) e Darwin Cook (playmaker della squadra CBA La Crosse Catbirds), i quali formeranno una delle coppie più dominanti della pallacanestro italiana, caratterizzata da un gioco spumeggiante, rapido e veloce, un altissimo livello nella fase realizzativa e un’ottima visione di gioco impreziosita da innumerevoli assist. La composizione di una delle squadre, a detta di molti, più forti di sempre nella storia del basket nostrano, ottenuta mediante la sapiente combinazione del “D&D Show” con il gruppo già ben assortito degli italiani della Vuelle, portò, in quella stessa stagione, al meritato riscatto verso la lunga serie di dolorose bruciature sportive subite fino a quel momento e, in particolare, alla tanto sperata rivincita contro la corazzata di Milano: la conquista del primo scudetto pesarese, dopo aver vinto per 3-1 le combattute finali play-off a scapito proprio delle “Scarpette Rosse”. L’annata successiva vide i neo campioni d’Italia partecipare per la prima volta nella loro storia al McDonald’s Open (un torneo internazionale per club nato nel 1987 su iniziativa congiunta di NBA e FIBA) e, soprattutto, alla Coppa dei Campioni. In campionato la Scavolini terminò la stagione regolare con il primo posto in classifica, ma alle semifinali play-off venne eliminata, neanche a dirlo, dall’Olimpia Milano, in seguito ad uno degli episodi più famosi e controversi nella storia della massima serie: il primo incontro, disputato a Pesaro, fu assegnato a tavolino per 0-2 dal giudice sportivo in favore della squadra ospite a causa di una monetina che dagli spalti colpì Meneghin; mentre nella seconda gara tenutasi a Milano i marchigiani non riuscirono a vincere e, quindi, a ribaltare il risultato dell’andata. Nella stagione 1989-90 la Vuelle (guidata in panchina dall’esordiente Scariolo promosso nel frattempo al ruolo di capo allenatore) uscì sconfitta dalla finale della Coppa Korać nel doppia gara disputata contro la Joventut de Badalona, mentre dominò la regular season di quell’edizione di campionato, per poi battere 3-1 la Pallacanestro Varese alle finali play-off e conquistare così il suo secondo scudetto.
Verso la fine di un epoca
Alla loro seconda partecipazione al McDonald’s Open, nell’autunno del 1990, la squadra pesarese sfiorò una storica vittoria contro i New York Knicks di un immenso Patrick Ewing, uscendo sconfitti solo sul finale di gara con il punteggio di 119-115. Sul parquet europeo, invece, la Scavolini riuscì ad arrivare alle Final Four della Coppa dei Campioni targata 1990-91, venendo però battuta in semifinale dalla Jugoplastika di Toni Kukoč e Zoran Savić (di lì a poco vincitrice del trofeo continentale) con il punteggio di 93-87, e nella finalina per il terzo posto dal Maccabi Tel Aviv per 83-81. Nonostante il cambio in panchina, con l’arrivo di coach Alberto Bucci (vincitore nell’annata 1983-84 di uno scudetto e di una Coppa Italia alla guida della Virtus Bologna), e la partenza di Cook (sostituito dal playmaker americano Haywoode Workman, proveniente dai Washington Bullets) la Vuelle riuscì a raggiungere le finali di tutte e tre le competizioni cui aveva preso parte nella stagione 1991-92, arrivando ad un passo dal realizzare uno storico slam. Delle tre manifestazioni, infatti, i marchigiani riuscirono a portarsi a casa la loro seconda Coppa Italia (battendo nella tirata finale di Forlì la Benetton Treviso di Kukoč per 95-92), ma vennero sconfitti nella doppia sfida conclusiva della Coppa Korać dalla Virtus Roma e nelle finali play-off di campionato proprio dalla Benetton Treviso guidata dall’ex coach Skansi con il punteggio di 3-1. L’ultimo colpo di coda di quel periodo cestisticamente magico si realizzò con la conquista, da parte della compagine biancorossa, delle finali scudetto 1993-94, anche grazie alla straripante prestazione del giovane Carlton Myers (arrivato nel 1992 dalla Basket Rimini dopo la partenza di Daye), il quale venne premiato con il titolo di MVP in quell’edizione di campionato. Ciononostante la Scavolini Pesaro non riuscì a cucirsi sul petto il suo terzo scudetto, perdendo, a seguito una dura battaglia conclusasi solo dopo gara 5, contro la Virtus Bologna di Predrag “Saša” Danilović. Da allora la Victoria Libertas non riuscì più a ripetere le prestazioni di quegli anni trionfali sia in campo nazionale che, men che meno, in quello continentale, terminando le stagioni di campionato solitamente nella zona di media-bassa classifica, oltre che a calpestare, per pochi anni, anche il parquet delle categorie sottostanti l’A1. Salvo pochi exploits compiuti negli anni, anche recenti, come il raggiungimento della finale di Coppa Italia nella scorsa stagione. Ma, come si è visto, la passione pesarese per la pallacanestro è nata e si è evoluta nell’affrontare a viso aperto grandi lotte nonostante le avversità e i pronostici sfavorevoli e, soprattutto, nella capacità di sapersi sempre rialzare dopo aver subito grandi delusioni sportive, fino ad arrivare al successo finale tanto agognato, nella speranza di riaprire, così facendo, un nuovo ciclo di successi cestistici, come in un magnifico ouverture in puro stile rossiniano.