Che i calciatori non fossero ormai più quelli di una volta è cosa risaputa.
Che attaccamento alla maglia e adeguato compenso economico andassero a braccetto è cosa altrettanto nota.
Che negli ultimi decenni molti, se non tutti, si fossero trasformati da atleti a professionisti (quasi) senza sentimenti è un dato ormai palese ma, che si assistesse a quanto accade ultimamente, forse neanche il più smaliziato degli osservatori sarebbe riuscito a prevederlo facilmente.
Vero, il dio danaro è sempre stato fondamentale nelle scelte dei giocatori che con la mitologica frase “è una scelta di vita” hanno sempre cercato di mascherare la reale motivazione che li spingeva verso una determinata destinazione.
Il grande campione riesce ad abbinare il compenso economico con la scelta di una squadra ambiziosa in grado di competere per la vittoria, ma anche gli altri, quelli che non possono essere considerati dei fuoriclasse, vanno verso il compenso più alto, chissenefrega se poi il piede in campo non lo si mette mai, l’importante è incamerare quanto più possibile durante il percorso professionistico.
Scelte che non sempre hanno pagato dividendi, anzi, si sono rivelate spesso dei boomerang o delle zavorre per le carriere di giocatori veramente forti. I soldi non sono tutto però, nello sport c’è l’ambizione, la ricerca della vittoria, la gloria che porta il trofeo di prestigio conseguito sul campo al termine di una stagione importante.
La nuova tendenza però, che va ad affiancarsi a quella già in essere da anni con gli sceicchi presenti nel nostro continente, è quella di portare giocatori non più a fine carriera (come avveniva un tempo anche per gli spostamenti verso gli States) ma nel pieno del loro splendore in Arabia Saudita per rendere competitivo un torneo che deve fungere da apripista ad un intero movimento chiamato Saudi Vision 2030, un piano di sviluppo con il quale l’Arabia Saudita vuole imprimere un cambio di rotta tentando di sganciarsi dalla dipendenza verso il settore petrolifero diversificando la propria economia.
Il discorso investe molti fattori e, come risulta intuitivo, non è affatto assimilabile a ciò che è sempre avvenuto dalle nostre parti.
Qui c’è un progetto che viene portato avanti dagli emirati che dispongono di mezzi economici enormi e che vogliono portare la propria realtà in primo piano.
Ecco quindi che la mossa anticipata da Ronaldo lo scorso anno ora pare meno ridicola, meno estrema.
Vari colleghi stanno prendendo l’aereo per raggiungerlo e disputare il suo stesso campionato, non giocatori che hanno imboccato il viale del tramonto bensì, basti vedere Benzemà, atleti nel pieno delle proprie forze che lasciano campionati estremamente competitivi per godersi stipendi stratosferici.
Si lascia quindi il mondo nel quale è nato il calcio, nel quale per vincere bisogna essere veramente i più forti, si lascia la Champions League o la mitica Premier League, Serie A, Bundesliga, Liga Spagnola (campionati pieni di storia) per andare a fare i Globe Trotters in Arabia Saudita.
E così, dopo le scelte orientali compiute negli anni passati dai vari Oscar, Hulk, Tevez, Hernanes, Robinho, Lavezzi & co (nonché Lippi, Eriksson, Capello e Cannavaro quali allenatori) che hanno preferito il frusciante copioso che veniva dalla Cina, ecco ora è il turno di Ronaldo, Benzemà, N’Golo Kanté, Kalidou Koulibaly ad abbandonare “il calcio che conta” per inseguire l’arricchimento personale.
L’esperienza cinese si è rivelata spesso fallimentare per chi l’ha adottata, scomparso dai radar internazionali, questa araba sembra una forzatura ancor maggiore per buona pace dei sostenitori del “no al calcio moderno”!